Ricerca nel sito
Cerca in internet
Un’analisi approfondita dell’agevolazione che rappresenta una delle porte di ingresso più utilizzata per l’entrata dei giovani nel mondo del lavoro
L’apprendistato è stato, da sempre, oggetto di particolari attenzioni da parte sia del Legislatore che degli operatori tale da rappresentare, per una serie di agevolazioni di natura economica, contributiva, fiscale e normativa la “porta di ingresso” più utilizzata per l’entrata dei giovani in maniera strutturale nel mondo del lavoro: i benefici connessi al contratto professionalizzante, con oneri burocratici legati alla formazione sempre meno stringenti, sono stati una molla che gli ha fatto riprendere “vita” dopo le “ubriacature normative” correlate allo sgravio triennale della legge n. 190/2014. Negli ultimi anni, sia pure con alcune precisazioni e vincoli, ha preso piede anche l’apprendistato per gli “over 29” titolari di un trattamento di disoccupazione (NASPI, DIS-COLL), finalizzato a favorire il reingresso dei soggetti espulsi dai processi produttivi.
Se tutto questo che ho, sommariamente, descritto è valido per l’apprendistato professionalizzante, lo è molto di meno per quello di primo livello e per quello di alta formazione e ricerca previsto dall’art. 45 del D.L.vo n. 81/2015.
Con la legge n. 160/2019 (legge di bilancio per l’anno 2020) si cerca di dare impulso alla prima tipologia (L’apprendistato per la qualifica ed il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore ed il certificato di specializzazione tecnica superiore).
L’apprendistato per la qualifica ed il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore ed il certificato di specializzazione tecnica superiore disciplinato dall’art. 43 è stato già oggetto di numerosi interventi normativi finalizzati a favorirne lo sviluppo. Le ragioni sono diverse e, probabilmente, un loro esame approfondito mi porterebbe lontano dall’oggetto di questa riflessione.
Ora il Legislatore, attraverso il comma 8 dell’art. 1, si propone di incentivare tale tipologia contrattuale presso i piccoli datori di lavoro che sono i più restii: tale operazione avviene con la revisione delle aliquote contributive a carico dei datori di lavoro (imprenditori e non imprenditori) che occupano alle loro dipendenze un numero di lavoratori non superiore alle nove unità: per le assunzioni che avverranno nel corso del 2020 (la norma, quindi, non è strutturale) per i primi trentasei mesi di rapporto l’aliquota sarà zero, mentre per gli anni di contratto di apprendistato successivi, resterà fissata al 10%.
I giovani, potenzialmente assumibili, sono di età compresa tra i 15 ed i 25 anni: ovviamente, sotto l’aspetto della sicurezza sul lavoro, per i c.d. “minorenni” valgono, oltre alle regole generali di cui parla il D.L.vo n. 81/2015 anche quelle specifiche inserite nella legge n. 977/1967, fortemente emendata, nel corso degli anni, da atti normativi successivi, tra cui ricordo il D.L.vo n. 345/1999.
Ma, come va calcolato il limite dimensionale?
Esso riguarda, innanzitutto, la struttura aziendale nel suo complesso e non l’unità produttiva ove avviene l’instaurazione del rapporto.
L’INPS, in varie circostanze, ha avuto modo di soffermarsi sul computo dei dipendenti, laddove questo è portatore di agevolazioni di natura contributiva.
Significativa, ad esempio, è la circolare n. 22/2007 che intervenne allorquando la norma effettuò, ai fini della applicazione dell’aliquota contributiva “propria” una distinzione tra i datori di lavoro con un organico dimensionato fino alle nove unità e quelli con un numero maggiore di dipendenti.
Probabilmente, l’Istituto provvederà ad emanare nuovi chiarimenti amministrativi che si rifaranno, ad esempio, alla predetta circolare ma che dovranno tener conto anche delle novità normative degli ultimi anni (tra l’altro, allora, si parlava di esclusione dei contratti di inserimento ex art. 54 del D.L.vo n. 276/2003, ora abrogati).
In ogni caso ritengo che nel computo debbano rientrare:
Sono esclusi dal computo gli apprendisti a prescindere dalla tipologia utilizzata, i lavoratori somministrati perché in forza all’Agenzia di Lavoro, gli eventuali assunti con contratto di reinserimento ex art. 20 della legge n. 223/1991 (in quasi trenta anni di vigenza della norma gli assunti con tale tipologia sono state poche centinaia) e quelli provenienti dai lavori socialmente utili o di pubblica utilità assunti ex art. 7 del D.L.vo n. 81/2000, secondo la previsione contenuta nel comma 7.
Ai fini della fruizione dell’agevolazione il requisito dimensionale deve sussistere al momento dell’assunzione: se, successivamente, l’azienda assume altri lavoratori subordinati il beneficio, seguendo le indicazioni fornite dall’INPS in analoghe situazioni, resta.
Ma, per verificare il “vantaggio dello sgravio contributivo” è opportuno conoscere quale è la contribuzione cui sono sottoposti i datori di lavoro che presentano un organico superiore alle nove unità.
Fino al 2020 sono tenuti a pagare una contribuzione che nel primo anno è pari all’1,5%, nel secondo anno al 3%, ed al 5% nel terzo (art. 1, comma 110 lettera d della legge n. 205/2017 che ha prorogato quanto previsto dall’art. 32, comma 1, del D.L.vo n. 150/2015).
Va, inoltre, ricordato come in caso di licenziamento, non trovi applicazione, in via generale (e quindi, anche per i piccoli datori di lavoro), la norma sul ticket di ingresso alla NASPI, quella relativa al finanziamento della NASPI (1,31%) e quella destinata ai fondi interprofessionaliper la formazione continua (0,30%).
La nuova disposizione merita alcuni chiarimenti.
L’apprendistato di primo livello, pur nelle sue diverse articolazioni, ha come scopo quello di integrare, in un sistema duale, sia la formazione che il lavoro nel quadro dei titoli di istruzione e formazione e del sistema delle qualificazioni professionali (art. 41, comma 3, del D.L.vo n. 81/2015; circolare INPS n. 108/2018; D.L.vo n, 13/2013).
Con successivi provvedimenti sono state meglio focalizzate le questioni relative all’alternanza scuola-lavoro: l’ANPAL, a seguito dell’accordo con il Ministero dell’Istruzione, è il “tutor” della materia ed il DM 3 novembre 2017 contiene il Regolamento che definisce i diritti ed i doveri degli studenti in alternanza scuola-lavoro.
Le varie norme che, nel tempo, si sono susseguite richiedono una formazione esterna ed interna ben superiore a quella prevista per l’apprendistato professionalizzante con forti riduzioni dei costi per il datore di lavoro (assenza di obbligo retributivo per le ore svolte all’interno della istituzione formativa, retribuzione pari al 10% per le ore di formazione a carico del datore – art. 43, comma 7 del D.L.vo n. 81/2015-).
Ma, il “costo zero” in favore dei datori di lavoro, previsto per tre anni dal comma 8, rappresenta una novità nel nostro ordinamento o ci sono stati dei precedenti?
Non è assolutamente una novità in quanto con l’art. 22 della legge n. 183/2011 per cinque anni fu previsto uno sgravio contributivo totale sulla quota a carico dei datori di lavoro che, con un organico dimensionato fino a nove dipendenti, assumevano apprendisti (la disposizione riguardava anche la tipologia professionalizzante). La norma, che ha espletato i propri effetti per le assunzioni che sono avvenute fino al 31 dicembre 2016, fu oggetto di chiarimenti precisi e puntuali da parte dell’INPS con diverse note tra cui la più importante fu la circolare n. 128/2012.
Il riferimento a tale ultimo atto mi consente di ritenere che nel caso di specie che sto esaminando ci si trovi di fronte: