Ricerca nel sito
Cerca in internet
Novità della riforma Fornero con particolare riguardo ai riflessi sull’attività degli organi di vigilanza del Ministero del Lavoro
a cura di Umberto Ranucci, ispettore del lavoro della Direzione Territoriale del Lavoro di Frosinone e cultore della materia presso la cattedra di diritto del lavoro della Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Cassino
Definizione della tipologia contrattuale
L’attività del collaboratore autonomo con partita IVA trova il proprio fondamento giuridico nel contratto d’opera definito dall’art. 2222 del cod. civ..
Si può parlare di prestazioni d’opera (che comprendono anche le consulenze professionali) nelle ipotesi in cui un soggetto, dietro corrispettivo, si impegna a compiere un’opera o un servizio prevalentemente attraverso il proprio lavoro e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente.
Il prestatore d’opera svolge la propria attività lavorativa in modo completamente autonomo, senza alcuna continuità nella esecuzione della prestazione, senza alcun coordinamento con l’attività del committente e senza alcun inserimento funzionale nell’organizzazione aziendale.
La prestazione d’opera, pertanto, si caratterizza per:
Pur non essendo obbligatoria la forma scritta, generalmente si procede alla compilazione di un “ordine di lavoro” o “contratto di prestazione d’opera”, sottoscritto dalle parti.
E’ opportuno che tale documento, stante la sua rilevanza probatoria in sede di eventuale contenzioso, contenga i seguenti elementi: la descrizione sufficientemente dettagliata dell’opera o del servizio richiesti, i tempi di consegna da parte del committente dei materiali necessari alla progettazione e/o realizzazione, i tempi di consegna del lavoratore,
il prezzo pattuito, i tempi di pagamento, le date e le modalità di recesso.
Aspetti fiscali
La prestazione d’opera effettuata attraverso l’utilizzo della partita IVA è convenzionalmente definita “partita IVA individuale”.
Dal momento in cui si apre la partita IVA, per ogni prestazione effettuata occorre emettere fattura che, oltre al compenso pattuito, deve recare l’indicazione della rivalsa IVA (20 per cento) e della ritenuta d’acconto IRPEF (20 per cento).
I redditi dei lavoratori con partita IVA sono classificati fiscalmente come redditi di lavoro autonomo e sono tassati in sede di dichiarazione dei redditi secondo il principio di acconto e saldo, applicando le aliquote progressive vigenti per scaglioni di reddito.
Il titolare di partita IVA, inoltre, è obbligato alla registrazione delle fatture su appositi registri, alla liquidazione trimestrale e/o mensile dell’IVA, nonché alla relativa liquidazione annuale.
Aspetti previdenziali
Il collaboratore autonomo con partita IVA è obbligato ad iscriversi alla Gestione Separata INPS, salvo che eserciti un’attività che preveda l’iscrizione ad un albo o ad un ordine provvisto di cassa previdenziale specifica.
E’ prevista però una riduzione dell’aliquota dovuta per i titolari di pensione e per i soggetti assicurati presso altre forme di previdenza obbligatoria.
La contribuzione è a totale carico del lavoratore con partita IVA, che però ha la possibilità di addebitare nella fattura il 4% del compenso lordo a titolo di rivalsa previdenziale.
Le novità della riforma Fornero in materia di collaborazioni con partita IVA
Specie se resa in regime di partita IVA ed in condizioni di monocommittenza, la prestazione d’opera ha spesso costituito per i committenti un facile strumento di elusione delle norme di tutela del lavoro dipendente, mascherando veri e propri rapporti di lavoro subordinato, oltre a diventare sostitutiva di forme contrattuali divenute nel tempo più onerose (es. le collaborazioni a progetto).
Uno degli obiettivi dichiarati della riforma del mercato del lavoro voluta dal Ministro Fornero è proprio la lotta contro l’utilizzo elusivo delle collaborazioni rese da titolari di partite IVA.
Sulle partite IVA la riforma impone la stretta di una presunzione relativa (“salvo che sia fornita prova contraria da parte del committente”), che può comportare la trasformazione del rapporto in una collaborazione coordinata e continuativa (collaborazione a progetto) o addirittura, se l’attività non è riconducibile ad un progetto specifico, in un contratto di lavoro di tipo subordinato a tempo indeterminato.
L’art.1, comma 26, della L. 92/2012 introduce l’art. 69 bis del D.Lgs. n.276/2003, secondo il quale la presunzione de quo, stante anche le modifiche apportate dall’art. 46 bis della L. 134/2012, che ha convertito con modificazioni il D.L. 83/2012, opera quando ricorrono almeno due dei seguenti presupposti:
1. Che la collaborazione abbia una durata complessivamente superiore ad otto mesi annui per due anni consecutivi;
2. Che il corrispettivo derivante da tale collaborazione, anche se fatturato a più soggetti riconducibili al medesimo centro d’imputazione di interessi, costituisca più dell’80% dei corrispettivi annui complessivamente percepiti dal collaboratore nell’arco di due anni solari consecutivi;
3. Che il collaboratore disponga di una postazione fissa di lavoro presso una delle sedi del committente.
Il primo requisito è la durata della prestazione, che non può essere complessivamente superiore ad otto mesi annui per due anni consecutivi. Qui il legislatore, usando l’avverbio complessivamente, consente il cumulo di più periodi nell’anno.
Per quanto concerne invece il requisito economico, che pure deve ricorrere per due anni solari consecutivi, sorge la difficoltà per il datore di lavoro di verificare in corso d’anno la posizione fiscale del collaboratore.
Pertanto il committente prima di sottoscrivere un contratto di collaborazione con un titolare di partita IVA dovrà acquisire d’ora in poi un’attestazione del lavoratore riguardante il reddito che egli presume di produrre nel periodo d’imposta.
Il terzo presupposto consiste nella disponibilità del collaboratore di una sede stabilmente assegnata, anche se non esclusiva.
Giova tuttavia evidenziare che la stretta della riforma sui contratti di collaborazione con partita IVA è di ridotta portata applicativa, essendo stata ammorbidita da alcune previsioni normative che escludono la presunzione legale quando la prestazione presenta i seguenti requisiti:
Con riguardo, in particolare, al primo requisito, che attiene alle competenze teoriche o di capacità professionali, è difficile immaginare che il committente si possa avvalere della collaborazione di un professionista che non abbia maturato una significativa esperienza nel settore di specifica competenza.
La presunzione legale di cui trattasi, inoltre, si applica ai rapporti instaurati successivamente alla data di entrata in vigore della L.92/2012 (18 luglio 2012). Per i rapporti in corso a tale data, al fine di consentire gli opportuni adeguamenti, la presunzione
opera solo dopo dodici mesi dall’entrata in vigore della citata legge.
I riflessi delle nuove regole per le partite IVA sull’attività degli organi di vigilanza del Ministero del Lavoro
Il funzionario ispettivo della Direzione Territoriale del Lavoro, quando opera la presunzione di cui all’art. 69 bis del D.Lgs. 276/2003, non deve dimostrare la fittizietà del rapporto di collaborazione con partita IVA, ma è il committente a dover fornire la prova contraria della sua genuinità.
Nel caso de quo, quindi, in mancanza della prova da parte del datore di lavoro della sussistenza di un vero e proprio rapporto di lavoro autonomo non coordinato, l’organo ispettivo deve procedere ipso iure al disconoscimento del relativo contratto d’opera, riconducendolo alla fattispecie della collaborazione coordinata e continuativa o, in assenza
del progetto, a quella del lavoro di tipo subordinato a tempo indeterminato.
In particolare il funzionario ispettivo, verificata la non genuinità della prestazione resa in regime di partita IVA, ha l’obbligo di:
1. Redigere verbale unico di accertamento da trasmettere, unitamente alle allegazioni di prova, all’INPS ed all’INAIL competenti, per il recupero dei contributi e dei premi non versati nelle misure e con le modalità previste per i collaboratori coordinati e continuativi (lavoratori a progetto) o per i lavoratori dipendenti. E’ opportuno precisare al riguardo che il lavoratore con partita IVA, se considerato collaboratore a progetto, non è più tenuto versare alla Gestione Separata INPS un contributo interamente suo carico ma la quota da lui dovuta è pari ad 1/3 dell’ammontare del contributo versato dal committente.
2. Irrogare, con il verbale in parola, le previste sanzioni pecuniarie amministrative che scaturiscono dal mancato adempimento degli obblighi legati alla instaurazione del rapporto di lavoro coordinato e continuativo o di lavoro dipendente e cioè
Vale la pena di precisare, inoltre, che, non operando la presunzione di che trattasi, il funzionario accertatore potrà sempre ricondurre la collaborazione con partita IVA nell’alveo della subordinazione, accertando tutti gli elementi costitutivi del fattispecie del rapporto di lavoro subordinato (art. 2094 del cod. civ.).
Il convincimento dell’organo ispettivo, in tal caso, deve fondarsi innanzitutto sulla sussistenza del requisito dell’eterodirezione, intesa come vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro.
Nondimeno esistono anche altri indici della subordinazione elaborati da dottrina e giurisprudenza, che hanno una funzione più che altro indiziante, consentono cioè di poter risalire all’elemento dell’eterodirezione nell’ipotesi in cui esso non sia agevolmente apprezzabile nel caso concreto. Si pensi, ad esempio, all’inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale, alla continuità della prestazione, alla rigidità dell’orario di lavoro ed alla retribuzione fissa a tempo senza rischio di risultato.
CLICCA PER CONDIVIDERE