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a cura di Guglielmo Anastasio – Avvocato e funzionario della DTL Modena
Preliminarmente occorre osservare che l’obbligo di conservazione della documentazione di lavoro non è disciplinato in maniera unitaria, ma varia a seconda delle normative settoriali che regolano l’effettuazione dei singoli atti/adempimenti aziendali. Inoltre, molto spesso la normativa di settore prevede solo le modalità di tenuta e non i tempi di conservazione della documentazione, facendo sorgere inevitabilmente l’esigenza di rifarsi ai principi generali dell’ordinamento (art.2220 c.c.) ed alla normativa che regola i poteri e l’attività ispettiva in materia di lavoro e legislazione sociale.
Il richiamo a quest’ultima disciplina si rende necessario dal momento che l’obbligo di tenuta della documentazione in oggetto, a volte, potrebbe non essere fine a sé stesso, ma funzionale all’attività di accertamento degli organi ispettivi o giudiziari, e, pertanto, la reazione dell’ordinamento rispetto alla mancata conservazione della stessa potrebbe essere subordinata all’impedimento di tutte quelle attività accertative a carattere pubblicistico.
Come noto, fino al 18 giugno 2008, le principali scritture obbligatorie in materia di lavoro erano il libro matricola e il libro paga (inclusivo della sezione presenze); il primo aveva la funzione di fotografare la situazione occupazionale dell’azienda e dei singoli rapporti lavorativi, il secondo, invece, di rendere visibile la corrispondenza tra l’attività lavorativa concretamente svolta dal lavoratore e l’effettiva retribuzione riconosciuta a quest’ultimo. Al di là del previgente obbligo di tenere in azienda le suddette scritturazioni1, si ricorda che le stesse potevano essere tenute in forma cartacea, mediante sistemi elettronici (dal 5 dicembre 1994), purchè venisse garantita la loro inalterabilità e consultabilità a richiesta dell’organo di vigilanza, ovvero, mediante fogli mobili previa vidimazione degli stessi da parte dell’Inail. Sempre all’epoca, il datore di lavoro aveva l’obbligo di conservare, ai sensi dell’art.26, D.P.R. n.1124/1965, le predette scritturazioni per dieci anni almeno dall'ultima registrazione e, se non usati, dalla data in cui erano stati vidimati. La violazione di tale obbligo comportava, a partire dal 1° gennaio 2007, l’irrogazione di una sanzione pecuniaria, ai sensi dell’art.42, L. n.153/1969, da 75,00 a 385,00 euro. Si ricorda, tuttavia, che l’applicazione di tale sanzione riguardava comunque una documentazione ormai non più in uso (ad esempio per cessazione dell’attività); diversamente, si rendeva necessaria l’applicazione dell'ulteriore obbligo di esibizione delle scritture ad ogni richiesta degli organi di vigilanza che, se formulata tra il 1° gennaio 2007 e il 18 giugno 2008, avrebbe comportato l’irrogazione di una sanzione da 4.000,00 a 12.000,00 euro.
Il D.L. n.112 del 18 giugno 2008, convertito in L. n.133/08, oltre ad aver sostituito i vecchi libri matricola e paga con l’ormai noto Libro unico del lavoro, ha abrogato immediatamente il precetto sanzionatorio introdotto dalla L. n.296/07 nonché l’art.42, L.n.153/1969. Poiché l’effettiva entrata in vigore della nuova scritturazione era subordinata all’emanazione di un decreto ministeriale attuativo (entrato in vigore il 18 agosto 2008), la violazione dell’obbligo di conservazione e quindi di esibizione dei libri matricola e paga nel periodo transitorio, ovvero dal 18 giugno 2008 al 18 agosto 2008, ha trovato la propria risposta sanzionatoria nel vecchio art.195, D.P.R. n.1124/1965 con un importo da 25,00 a 154,00 euro. La vera novità in tema di tempi di conservazione dei libri matricola e paga, è stata inserita nell’art.6, co.2, del Decreto Ministeriale 9 luglio 2008, che ha ridotto il termine decennale a cinque anni dall’ultima registrazione. Tale dimezzamento, come ha rilevato anche il Ministero del lavoro, impone “ agli organi di vigilanza, anche nelle ipotesi di verifiche che attengono alla ricostruzione dei crediti contributivi nel termine decennale, di acquisire la documentazione d’ufficio o da parte del lavoratore denunciante, senza gravare il soggetto ispezionato”. La traduzione di tale conclusione ministeriale non può che portare, pertanto, all’estinzione dell’obbligo di conservare i libri matricola e paga al trascorrere dei cinque anni dall’ultima registrazione, a prescindere da eventuali accertamenti in corso.Occorre, tuttavia, evidenziare che, in caso di ricorsi giudiziari pendenti, il predetto obbligo, a parere dello scrivente, si trasforma in un mero onere di conservazione, quando l’esibizione in giudizio delle scritturazioni in analisi possa essere utile al datore di lavoro per comprovare taluni fatti o circostanze.
Il registro infortuni, vidimato dall’Asl, qualora non dovesse essere più utilizzabile (perché completo o per cambio di ragione sociale, cessazione dell’impresa, ecc.) deve essere conservato per almeno quattro anni dalla data dell’ultima registrazione o dalla data di vidimazione se non usato. L’obbligo di conservazione di per sé potrebbe apparire neutro se non coordinato con l’obbligo di tenuta dello stesso sul luogo di lavoro, a disposizione degli organi di vigilanza. In altre parole, la mancata conservazione troverà la sua risposta sanzionatoria nel momento in cui gli ispettori, in sede di primo accesso, constatino la mancata tenuta dello stesso presso il luogo di lavoro espressamente punita con una sanzione pecuniaria da € 2.580,00 ad € 15.490,00.
L'art.39, L. n.133/08, in un'ottica di semplificazione degli adempimenti in materia di lavoro, ha introdotto dal 1° gennaio 2009, il Libro Unico del lavoro, la cui peculiarità consiste non solo nel racchiudere tutti i dati contenuti nei vecchi libri matricola e paga, ma, soprattutto, nella sua "unicità", anche in presenza di un datore di lavoro titolare di più posizioni assicurative e previdenziali e/o più sedi di lavoro.
Abbandonando del tutto il sistema cartaceo, con la nuova normativa è previsto solo l’utilizzo informatico con facoltà di scelta - per la compilazione e tenuta del Libro Unico – fra i tre metodi previsti dall’art.1, D.M. 9 Luglio 2008:
1. elaborazione e stampa meccanografica su fogli mobili a ciclo continuo: la numerazione di ogni pagina e la vidimazione avvengono prima della messa in uso presso l'INAIL o, in alternativa, con numerazione e vidimazione effettuata, dai soggetti appositamente autorizzati dall'INAIL, in sede di stampa del modulo continuo;
2. a stampa laser: in questo caso è necessaria la preventiva autorizzazione dell’INAIL per la stampa e generazione della numerazione automatica;
3. su supporti magnetici: in tal caso, ogni singola scrittura presente sul supporto magnetico dovrà rappresentare un documento informatico, collegato alle registrazioni effettuate in precedenza, oppure dovrà essere caratterizzato da un’elaborazione automatica dei dati. Ad ogni modo, deve essere garantita la consultabilità dei dati in ogni momento, nonché l’inalterabilità, l’integrità degli stessi e la sequenzialità cronologica delle operazioni eseguite.
A prescindere dal metodo scelto, per la tenuta del Libro Unico, è sempre necessario che in fase di stampa venga attribuita, a ciascun foglio (da conservare anche se deteriorati o annullati), una numerazione sequenziale.
Le modalità di tenuta del LUL non possono non incidere, quanto meno dal punto di vista logistico, anche sul susseguente obbligo di conservazione quinquennale, stabilito dall’art.1, D.M. 9 Luglio 2008. Per la mancata osservanza di tale obbligo, è prevista una sanzione pecuniaria da 100 a 600 euro, a cui, tuttavia, non potrà applicarsi il meccanismo premiale della diffida obbligatoria in virtù della insanabilità materiale della violazione. La medesima norma prescrive, altresì, al soggetto tenutario del Libro unico di conservarlo rispettando le misure di garanzia e di tutela previste dal D.lgs. n.196/03, in materia di protezione dei dati personali. Tuttavia, la conservazione in violazione di tali cautele, non troverà una risposta nella sanzione pecuniaria testè riportata, bensì in quelle
espressamente previste dal T.U. della privacy. Anche in tale ipotesi il Ministero del lavoro precisa che il termine quinquennale, impone “agli organi di vigilanza, anche nelle ipotesi di verifiche che attengono alla ricostruzione dei crediti contributivi nel termine decennale, di acquisire la documentazione d’ufficio o da parte del lavoratore denunciante, senza gravare il soggetto ispezionato”. Sempre secondo il medesimo Dicastero5, l’obbligo di conservazione si riferisce solo ai documenti dismessi e non più operativi come nel caso di cambio di sistema o di modalità di tenuta. Conseguentemente, in caso di cessazione del rapporto di assistenza col professionista o in caso di cessazione dell’attività d’impresa, il tenutario del Lul (consulente o associazione di categoria) potrà restituirlo all’imprenditore senza avere più obblighi di tipo conservativo.
La L. n.4/1953, impone ai datori di lavori di consegnare ai lavoratori, contestualmente alla corresponsione della retribuzione, il cedolino paga indicante tutti gli elementi utili alla ricostruzione del dovuto. La mancata esecuzione di tale adempimento comporterà una sanzione pecuniaria da 125 a 770 euro. Nessuna norma impone, invece, un obbligo conservativo di tale documento. Anche se nella prassi la busta paga viene fatta coincidere con un estratto (per singolo lavoratore) del Libro unico del Lavoro, rimane comunque un documento autonomo e distinto rispetto a quest’ultimo. In altre parole, in sede di accertamento, il datore di lavoro per dimostrare di aver adempiuto al predetto obbligo di consegna, dovrà esibire non solo la busta paga (o meglio la sua mera elaborazione che, come detto, può coincidere con l’estratto del LUL), ma anche la prova della consegna al lavoratore mediante la sottoscrizione per ricevuta della stessa o l’invio postale/telematico. Viste le premesse, onde evitare che il datore o gli accertatori debbano cercare aliunde la prova dell’avvenuta consegna (attraverso la dichiarazione del lavoratore o di persone informate sui fatti), non può non rinvenirsi quantomeno un obbligo di conservazione quinquennale, periodo7 entro il quale gli ispettori potranno contestare la violazione dell’obbligo in analisi. Occorre precisare come la busta paga, oltre ad avere rilevanza amministrativa, abbia anche una valenza di tipo civilistico; qualora sottoscritta per ricevuta dal lavoratore, tale documento assume anche valore di quietanza di pagamento. Sebbene il documento in parola, debitamente sottoscritto, non possa fondare una presunzione assoluta di corrispondenza tra il percepito/dovuto dal lavoratore e quanto in esso riportato, potrebbe essere sicuramente idoneo a fondare una presunzione relativa di adempimento dell’obbligo retributivo da parte del datore di lavoro.
In altre parole, la mancata consegna o sottoscrizione della busta paga, imporrà all’imprenditore, in ossequio ai generali principi in materia di onere della prova, dimostrare il regolare adempimento della sua obbligazione retributiva, fornendo adeguata quietanza a saldo. La situazione si aggrava sul piano probatorio, se sol si consideri che, in mancanza della principale prova scritta del pagamento, la testimonianza sarebbe inammissibile, in considerazione dei divieti previsti per la prova dei contratti ed applicabili al pagamento ed alla remissione del debito, per effetto dell’art.2726 c.c. In virtù di quanto sopra esposto e tenuto in debita considerazione il termine
prescrizionale dei crediti retributivi, non può escludersi che ragioni di opportunità processuali possano indurre o consiglino una conservazione delle buste paga che vada al di là del termine quinquennale sopra esposto.
Diverso è il discorso della conservazione delle buste paga nei rapporti di tirocinio formativo e di orientamento. In tale ipotesi contrattuale, infatti, l’unica documentazione obbligatoria di stampo lavoristico, va individuata nella comunicazione d’assunzione /cessazione al Centro per l’Impiego e nella convenzione di tirocinio con il soggetto promotore. Anche se tale rapporto dovesse prevedere la corresponsione di un compenso (la cui obbligatorietà prevista dalle linee guida redatte dalla Conferenza Stato-Regioni è subordinata al recepimento ed alla puntualizzazione di normative regionali) non c’è nessun obbligo di consegna delle buste paga, né dell’iscrizione delle somme corrisposte sul Libro Unico del lavoro. Qui l’unico obbligo previsto, oltre al CUD, è la redazione di un documento/ricevuta di pagamento (tecnicamente non definibile come busta paga) che, in concreto, attesti la corresponsione di un rimborso/compenso, su cui il soggetto ospitante dovrà effettuare, le ritenute fiscali, in qualità di sostituto d’imposta.
Vista la natura squisitamente fiscale di tale documento, la durata di conservazione andrà riferita, a parere dello scrivente, alla relativa normativa di settore di stampo tributario.
Preliminarmente, occorre evidenziare che la comunicazione preventiva d'assunzione al Centro per l’Impiego, dal 1° gennaio 2007, è diventata l'adempimento amministrativo più importante, allorchè i datori di lavoro procedano all'instaurazione di un rapporto lavorativo. La trasmissione della stessa al Centro per l'Impiego, dal marzo 2008, è possibile solamente attraverso la rete telematica. In realtà, già da un paio di anni prima, i vari sistemi comunicativi, predisposti su base regionale, consentivano ai datori di lavoro di effettuare la trasmissione attraverso la via telematica, ferma restante la possibilità di eseguire la stessa attraverso la consegna al Centro per l'Impiego nonchè mediante fax o con raccomandata a/r. Anche in tali casi, la norma che disciplina l'obbligo comunicativo in parola (art.9-bis, co.2, L. n.608/1996 così come modificata dall'art.1, co.1180, L.
n.296/07), nulla dice circa le modalità ed i tempi di conservazione. Non sembrando, a parere dello scrivente, che la comunicazione al Centro per l'impiego possa rientrare, o meglio, sia annoverabile tra la documentazione ex art.2220 c.c. (il quale stabilisce un obbligo conservativo decennale), non rimane che ragionare secondo logiche generali. In primo luogo, occorre evidenziare che tutte le comunicazioni fatte on-line, non presentano, nemmeno nei confronti degli organi di vigilanza, delle problematiche di conservazione, dal momento che il data-base che le raccoglie consente, in ogni momento, l'estrazione e la visione di tale documentazione. Il problema potrebbe sorgere solo nei confronti di quelle "vecchie" comunicazioni che hanno un riscontro solo cartaceo; anche qui, tuttavia, a parere, di chi scrive, non si può parlare di un vero e proprio obbligo di conservazione, dal momento che gli organi ispettivi sarebbero comunque in grado di recuperare la documentazione presso l'ente destinatario della stessa. Se, pertanto, la ragione di quest'adempimento è quella di dimostrare agli organi di vigilanza la corretta e regolare instaurazione di un rapporto di lavoro che, in ogni caso, gli stessi organi sarebbero in grado di accertare autonomamente, non si comprenderebbe l'esigenza di un obbligo conservativo su cui lo stesso legislatore, tra l'altro, è rimasto silente. Il discorso sarebbe completamente diverso, qualora il datore di lavoro avesse usato la stampa della comunicazione per adempiere gli ulteriori obblighi informativi previsti dal D.lgs. n.152/1997.
L'art 40, L. n.133/08, ha previsto la facoltà per i datori di lavoro di consegnare al lavoratore la comunicazione al Centro per l'Impiego in luogo della classica lettera d'assunzione. In tali casi, il ragionamento sull'obbligo conservativo della comunicazione (sottoscritta per ricevuta dal lavoratore), così come per la classica lettera d'assunzione, assume dei connotati diversi. Essendo, nei fatti, un atto che è privo di evidenza pubblica, s'impone la sua conservazione almeno entro il limite prescrizionale quinquennale, periodo entro il quale gli organi di vigilanza potrebbero contestare l'inadempimento di cui all'art.4-bis, D.lgs. n.181/00.
Il problema della conservazione della lettera d'assunzione, così come ogni altro tipo di contratto di lavoro (come ad esempio i contratti di associazioni in partecipazione, lavoro autonomo e co.co.pro.), potrebbe assumere connotati ancora diversi in caso di contenzioso, ed in particolare, qualora il datore di lavoro abbia la necessità di provare fatti e circostanze cristallizzati proprio in quella tipologia di documentazione.
L'esempio potrebbe essere quello del riconoscimento di un superminimo, della stipula di un contratto part-time, oppure, della esistenza di una volontà contrattuale ad eseguire, senza vincolo di subordinazione, una determinata prestazione; appare evidente che, in tali circostanze, l'obbligo in oggetto si tramuti in un vero e proprio onere di conservazione per il datore di lavoro che potrebbe andare anche al di là del limite quinquennale
Appare evidente come il problema della conservazione di tutta la documentazione di lavoro sottenda una chiara esigenza logistica delle aziende e dei professionisti che le assistono. Su questo versante la cogenza dell'obbligo di conservazione può essere considerata meno gravosa attraverso l’archiviazione ottica della documentazione cartacea.
Ad ogni buon conto, l'obbligo di conservazione della documentazione, al di là dei casi in cui è la stessa norma a stabilirne un termine specifico, non è mai fine a sè stessa e si misura sempre o in relazione alle esigenze ispettive degli organi di vigilanza o in relazione a precise finalità probatorie in sede di contenzioso. Nel primo caso si può parlare di obbligo indiretto, cioè la conservazione è finalizzata a dimostrare l'effettuazione di quegli adempimenti sottesi alla tenuta di una determinata documentazione; nel secondo, invece, può parlarsi di un vero e proprio onere, nel senso che la conservazione è finalizzata solo ad assecondare il principio generale di fornire la prova, in sede giudiziaria, dei fatti che vengono asseriti.
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